Discorso del Santo Padre durante l'udienza generale del 3 maggio

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Tre giorni fa sono rientrato dal viaggio in Ungheria. Desidero ringraziare tutti coloro che hanno preparato e accompagnato questa visita con la preghiera, e rinnovare la mia riconoscenza alle Autorità, alla Chiesa locale e al popolo ungherese, un popolo coraggioso e ricco di memoria. Durante la mia permanenza a Budapest ho potuto avvertire l’affetto di tutti gli ungheresi. Oggi vorrei parlarvi di questa visita attraverso due immagini: le radici e i ponti.

Le radici. Mi sono recato pellegrino presso un popolo la cui storia – come disse San Giovanni Paolo II – è stata segnata da «molti santi ed eroi, attorniati da schiere di gente umile e laboriosa» (Discorso in occasione della cerimonia di benvenuto, Budapest, 6 settembre 1996). È proprio vero: ho visto tanta gente semplice e laboriosa custodire con fierezza il legame con le proprie radici. E tra queste radici, come hanno evidenziato le testimonianze durante gli incontri con la Chiesa locale e con i giovani, ci sono anzitutto i santi: santi che hanno dato la vita per il popolo, santi che hanno testimoniato il Vangelo dell’amore e che sono stati luci nei momenti di buio; tanti santi del passato che oggi esortano a superare il rischio del disfattismo e la paura del domani, ricordando che Cristo è il nostro futuro. I santi ci ricordano questo: Cristo è il nostro futuro.


Le solide radici cristiane del popolo ungherese sono state però messe alla prova. La loro fede è stata provata al fuoco. Durante la persecuzione ateista del ‘900, infatti, i cristiani sono stati colpiti violentemente, con Vescovi, preti, religiosi e laici uccisi o privati della libertà. E mentre si tentava di tagliare l’albero della fede, le radici sono rimaste intatte: è restata una Chiesa nascosta, ma viva, forte, con la forza del Vangelo. E in Ungheria questa ultima persecuzione, oppressione comunista era stata preceduta da quella nazista, con la tragica deportazione di tanta popolazione ebraica. Ma in quell’atroce genocidio tanti si distinsero per la resistenza e la capacità di proteggere le vittime, e questo fu possibile perché le radici del vivere insieme erano salde. Noi a Roma abbiamo una brava poetessa ungherese che ha passato tutte queste prove e racconta ai giovani il bisogno di lottare per un ideale, per non essere vinti dalle persecuzioni, dallo scoramento. Questa poetessa oggi fa 92 anni: tanti auguri, Edith Bruck!


Ma anche oggi, come emerso negli incontri con i giovani e con il mondo della cultura, la libertà è minacciata. Come? Soprattutto con i guanti bianchi, da un consumismo che anestetizza, per cui ci si accontenta di un po’ di benessere materiale e, dimentichi del passato, si “galleggia” in un presente fatto a misura d’individuo. Questa è la persecuzione pericolosa della mondanità, portata avanti dal consumismo. Ma quando l’unica cosa che conta è pensare a sé e fare quel che pare e piace, le radici soffocano. È un problema che riguarda l’Europa intera, dove il dedicarsi agli altri, il sentirsi comunità, sentire la bellezza di sognare insieme e di creare famiglie numerose sono in crisi. L’Europa intera è in crisi. Riflettiamo allora sull’importanza di custodire le radici, perché solo andando in profondità i rami cresceranno verso l’alto e produrranno frutti. Ognuno di noi può chiedersi, anche come popolo, ognuno di noi: quali sono le radici più importanti della mia vita? Dove sono radicato? Ne faccio memoria, me ne prendo cura?


Dopo le radici ecco la seconda immagine: i ponti. Budapest, nata 150 anni fa dall’unione di tre città, è celebre per i ponti che la attraversano e ne uniscono le parti. Ciò ha richiamato, specialmente negli incontri con le Autorità, l’importanza di costruire ponti di pace tra popoli diversi. È, in particolare, la vocazione dell’Europa, chiamata, quale “pontiere di pace”, a includere le differenze e ad accogliere chi bussa alle sue porte. Bello, in questo senso, il ponte umanitario creato per tanti rifugiati dalla vicina Ucraina, che ho potuto incontrare, ammirando anche la grande rete di carità della Chiesa ungherese.


Il Paese è poi molto impegnato nel costruire “ponti per il domani”: è grande la sua attenzione per la cura ecologica – e questa è una cosa molto, molto bella dell’Ungheria – la cura ecologica e per un futuro sostenibile, e si lavora per edificare ponti tra le generazioni, tra gli anziani e i giovani, sfida oggi irrinunciabile per tutti. Ci sono inoltre ponti che la Chiesa, come emerso nell’apposito incontro, è chiamata a tendere verso l’uomo d’oggi, perché l’annuncio di Cristo non può consistere solo nella ripetizione del passato, ma ha sempre bisogno di essere aggiornato, così da aiutare le donne e gli uomini del nostro tempo a riscoprire Gesù. E, infine, ricordando con gratitudine i bei momenti liturgici, la preghiera con la comunità greco-cattolica e la solenne Celebrazione eucaristica tanto partecipata, penso alla bellezza di creare ponti tra i credenti: domenica a Messa erano presenti cristiani di vari riti e Paesi, e di diverse confessioni, che in Ungheria lavorano bene insieme. Costruire ponti, ponti di armonia e ponti di unità.


Mi ha colpito, in questa visita, l’importanza della musica, che è un tratto caratteristico della cultura ungherese.


Mi piace infine ricordare, all’inizio del mese di maggio, che gli Ungheresi sono molto devoti alla Santa Madre di Dio. Consacrati a lei dal primo re, santo Stefano, per rispetto erano soliti rivolgersi a lei senza pronunciarne il nome, chiamandola solo con i titoli della regina. Alla Regina d’Ungheria affidiamo dunque quel caro Paese, alla Regina della pace affidiamo la costruzione di ponti nel mondo, alla Regina del cielo, che acclamiamo in questo tempo pasquale, affidiamo i nostri cuori perché siano radicati nell’amore di Dio.